La Fusion BIOPSY

La combinazione della Risonanza Magnetica e della Ecografia in 3D è lo stato dell’arte della biopsia prostatica.

Il carcinoma prostatico è il primo tumore per incidenza ed il secondo tumore come causa di mortalità nel maschio. L'avvento di nuove tecnologie, con lo sviluppo della asportazione della ghiandola mediante laparoscopia robot-assistita, e di nuove forme di radioterapia mirata, ha portato ad una diminuzione della mortalità per cancro della prostata stimata tra il 5 e l’11% in recenti studi a lungo termine.

Nonostante la disponibilità di esami diagnostici sempre più accurati, come il PSA totale e libero, il Phi, il PCA3 score, l'ecografia transrettale e la Risonanza Magnetica endorettale con spettroscopia, il responso finale sulla presenza o meno di un carcinoma prostatico è affidato alla biopsia della prostata.

Negli anni sono state proposte metodiche per migliorare la precisione diagnostica della biopsia e, dopo una prima biopsia negativa, è stata introdotta la biopsia di saturazione con la quale, per via transrettale o transperineale, con paziente in anestesia generale, vengono eseguiti fino a 40-50 prelievi della prostata.

Fino al 30% dei pazienti sottoposti a questa procedura hanno un tumore prostatico non individuato dalla precedente biopsia ma l'elevato numero di prelievi aumenta il rischio di complicanze.

Negli ultimi anni, diversi studi scientifici hanno suggerito che le biopsie mirate guidate dalla Risonanza Magnetica possano individuare tumori non visibili all'ecografia e non diagnosticati dalle tecniche standard.

Da questi dati è nata l'idea di fondere Ie due metodiche, l'ecografia e la Risonanza Magnetica, per giungere ad una biopsia che consentisse la maggiore accuratezza diagnostica.

La biopsia a fusione d'immagine consente di unire i vantaggi iconografici e diagnostici della Risonanza Magnetica alla versatilità e maneggevolezza dell'ecografia transrettale.

Le immagini della Risonanza Magnetica vengono elaborate e ricostruite in 3D. Le aree sospette per tumore alIa Risonanza vengono marcate sullo schermo. L'immagine tridimensionale della Risonanza viene fatta combaciare e sovrapposta ("fusa") a quella della ecografia transrettale.

Con tale procedura appaiono sull'ecografia transrettale in "real time" Ie zone sospette, segnalate dalla Risonanza. Cosi, oltre alla tradizionale biopsia prostatica ecoguidata, vengono eseguiti dei prelievi mirati su quelle aree che sembrano normali all' ecografia, ma in cui la Risonanza ha individuato dei sospetti tumori.

Infatti, in pazienti con sospetto clinico di carcinoma prostatico, la biopsia con metodica Fusion consente di diagnosticare un tumore nel 55-63% dei casi, contro iI 30-40% della biopsia classica. Nei pazienti già sottoposti ad una prima biopsia prostatica negativa, la biopsia di fusione trova un tumore precedentemente non riconosciuto nel 37-41 % dei casi.

La biopsia a fusione d'immagine consente una maggiore precisione diagnostica sul grado e sull'aggressività della malattia e la metodica a fusione è più affidabile nel diagnosticare tumori clinicamente significativi e dunque meritevoli di trattamento.

La biopsia a fusione d'immagine può essere eseguita grazie ad una anestesia locale che viene effettuata nella zona perineale. La procedura dura circa 20 minuti, anche se l’elaborazione delle immagini che precede la biopsia può richiedere tempi maggiori.

Le complicanze della biopsia prostatica di fusione sono molto blande. Nel 50-70% dei casi ci può essere una modica ematuria iniziale (presenza di scarsa quantità di sangue nelle prime urine emesse) per 7-10 giorni.

Poiché la prostata produce una quota del liquido seminale, è normale che dopo la biopsia possa esserci emospermia (presenza di sangue nel liquido seminale) fino a 3-4 mesi dopo la biopsia.

Le infezioni e la ritenzione urinaria dopo biopsia sono attorno allo 0.1-0.2%.

In conclusione, la biopsia con metodica FUSION, eseguita per via transperineale, combinando i dati della Risonanza magnetica e della ecografia 3D, ci permette di diagnosticare un tumore della prostata nel 50-60% dei pazienti che abbiano un sospetto clinico.